Tacere

Tacere è parola che arriva dritta dritta dal latino (taceo). Non parlare quando se ne avrebbe la possibilità, dicono i vocabolari. Singolare che un blog sull'importanza delle parola cominci con la loro assenza, ma attenzione, tacere è altra cosa dallo stare zitti, implica uno sforzo, un'inibizione, avere qualcosa da dire o testimoniare e tenerselo per sè. Silenzio è quiete, tacere è violenza, seppur auto inflitta.
E allora "Taci!" è l'imperativo più sferzante. Taci tu che parli male della tua terra, che getti fango negli occhi che ti hanno visto bambino. Le tue parole appestano e riportano in vita il male sepolto ("Se trovo chi ha fatto le serie de La Piovra e chi scrive libri sulla mafia facendoci fare brutta figura nel mondo, giuro che lo strozzo", Silvio Berlusconi). Tacete voi che screditate i vostri fratelli, che non state dalla parte della Patria, sempre. Tacete voi che ci fate passare da radicali, che esponete la causa alle critiche ("Anche questo è un problema: i sostenitori della pace che temono di essere sospettati di "slealtà" sono sempre più impegnati con la tattica, mentre la destra e i coloni portano avanti una strategia", David Grossman, a proposito della petizioni che invita gli artisti a non esibirsi nel nuovo teatro di Ariel, uno dei territori occupati in Cisgiordania). Tacete puttane che osate reggere lo sguardo, che mettete in discussione l'ordine delle cose, fondato sul vostro dolore. Tacete cassandre, noiose e querule, pensate a divertivi, invece di insultare i vostri uomini e il vostro paese (dalla testimonianza di due ragazze afghane, attiviste per i diritti delle donne nel loro paese).
Taci, taci e volta la faccia dall'altra parte, dimentica e renditi schiavo ("Più profonde ferite che a me inflisse a te il tacere, più grandi stelle ti irretiscono nella loro insidia di sguardi, più bianca cenere giace sulla parola cui hai creduto", Paul Celan).